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La partita

La strada scorreva liscia sotto le ruote della Ypsilon nera.
Non c'era fretta, ma Carolina aveva sempre avuto il piede pesante ed in più era una che detestava anche solo l'idea di arrivare in ritardo.
Figurarsi poi alla sua prima partita ufficiale.

All'orizzonte dense nubi grige si addensavano coprendo a tratti il sole, forse avrebbe piovuto, ma sperava che il tempo tenesse per ancora qualche ora.
Le piacevano le piogge estive, come a tutti, ma non durante le parite.
Il campo bagnato rendeva tutto più confuso, i falli si moltiplicavano e la pioggia le tappava i pori della pelle, impedendo al sudore di uscire e dandole l'impressione di soffocare, annegare quasi.

Ancora due ore al fischio di inizio.
Tempo sufficiente per raggiungere il campo è preparasi in tranquillità.
Di solito le piaceva arrivare prima e chiudersi nel suo spogliatoio, unico vero vantaggio dell'essere donna in un ambiente quasi totalmente maschile, e fare un po' di yoga prima dell'inzio del match.
L'aiutava a rilassarsi e rimanere calma anche quando un marcantonio alto uno e novanta le si piantava di fronte urlando, lei che raggiungeva appena l'uno e sessantacinque.

Non certo bassa per una donna in generale, ma comunque non sufficientemente alta da continuare la sua carriera sportiva nella pallavolo.
Era stata una vera promessa da ragazzina, ma il mancato sviluppo (per lo meno in altezza) e il desiderio dei suoi genitori affinchè continuasse gli studi, avevano via via allontano la carriera professionistica dal suo futuro.

Aveva così cominciato, per sublimare il suo desiderio di campo e di spogliatoio, ad arbitrare le partite delle sue ex-compagne di squadra.
Ogni tanto rimaneva oltre e faceva lo stesso per le squadre maschili.
Ben presto la sua natura competitiva la aveva portata ad offrirsi come arbitro per qualunque tipo di evento sportivo amatoriale.

Tornei di pallavolo, tennis, pig pong, le bocce del nonno..
Si preparava a dovere, leggeva manuali, guardava le paritite in TV, nulla di complicato in fondo per una futura avvocatessa.
L'incontro, dirompente, con il calcio fu naturale conseguenza.
Da pricipio furono le partite di calcetto di Luca, il suo ragazzo di allora.
Un tipo divertente, studiava insieme a lei, con un sorriso incredibile e addominali di marmo.
Quando però, intuì che gli altri giocatori dubitavano della sua imparzialità, Carolina non ci penso due volte a lasciarlo. Le sembrò logico, lì per lì.
Fu l'inizio di qualcosa.

Si sparse subito la voce di questa ragazza che faceva da arbitro, era tosta ed anche brava.
L'ambiente del calcio era totalmente differente rispetto agli altri sport. Erano tutti ossessionati dalle regole, fuorigioco in testa, e dagli errori dell'arbitro.
All'inzio le sembravano tutti matti per la serietà con cui prendevano il gioco, per l'aria pesante che si respirarava a volte, ma ben presto, data la sua natura perfezionista, si cominciò ad adattare ed anzi, iniziò a coglierne il lato positivo.
Quando faceva l'arbitro, in campo, le bastava un colpo di fischietto e pendevano tutti dalle sue labbra.

La chiamavano spessissimo, aveva quasi tutte le sere impegnate, tant'è che divenne quasi un problema per i suoi esami.
Cominciò a farsi pagare, poco dapprima, ma subito intravide le possibità.
Molto spesso la chiamavano quasi per per scherzo, quasi fosse un fenomeno da baraccone, piu intrigati dal fatto che fosse una bella ragazza che altro.
Lei lo sapeva, ma non ci badava, anzi la soddisfazione era anche maggiore quando alla fine della partita venivano tutti a stringerle la mano e farle i complimenti.

Non che smettessero di guardarle il sedere in campo, sia chiaro, ma capivano chi comandava.
Le piaceva quel controllo, quel rispetto.
Sicuramente dall'esterno doveva essere buffo vedere una ragazza che pesava a malapena cinquanta chili bagnata comandare a bacchetta dieci, sedici ragazzi, grossi il doppio di lei, come se niente fosse armata solo di fischietto.

Federico, il suo attuale fidanzato, le aveva confessato di essersi eccitato la prima volta che l'aveva vista arbitrare.
Lo trovò buffo, le piacque.
Era una riseva, fuori dalla sua squadra dall'inzio del torneo per una distorsione alla caviglia.
Lei non l'aveva mai visto, mai arbitrato.
E mai l'avrebbe fatto, perche quando le chiese di uscire, quella stessa sera dopo la partita, lei pose come condizione che lui lasciasse la squadra.
Non voleva assolutamente altri conflitti di interessi.

Il corso dell'AIA, che aveva deciso di intraprendere ultimamente, era solo l'ultimo, logico passo del suo percorso.
Ormai aveva capito che arbitrare le dava più soddisfazione di quanto mai avrebbe fatto la pratica legale.
Ma la sua carriera universitaria e l'attitudine allo studio si erano comunque rivelate utili per passare l'esame finale, permettendole a Luglio scorso, di prendere il massimo dei voti e stracciare, lei unica donna, il resto della classe.

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